Dall’arte alla musica, dalla letteratura alla scienza, sono diversi gli ambiti in cui l’eccellenza tecnica, la maestria, la visione e le idee innovative di un individuo suscitano ammirazione, meraviglia e stupore negli osservatori; ci riferiamo spesso a queste persone identificandole come ‘Talenti naturali’, valorizzando così quelle capacità che riteniamo innate e ineguagliabili.
Lo sport non fa eccezione, regalando emozioni uniche con le imprese memorabili di personaggi che, inevitabilmente, lasciano il proprio segno indelebile nella storia, diventando icone universali, figure di ispirazione per i bambini di tutto il mondo.
È ormai teoria diffusa che la scoperta e lo sviluppo adeguato del talento giochino un ruolo cruciale nella ricerca dell’eccellenza sportiva.
Ma che cos’è davvero il talento? Esiste? Come si riconosce?
In questo articolo cercheremo di comprendere meglio la natura e lo sviluppo del talento, analizzeremo i metodi impiegati per identificarlo precocemente e supportarlo ed evidenzieremo le sfide e gli scenari futuri che accompagnano questo ambito.
In generale, nell’ambito sportivo il Talento può riferirsi alla predisposizione biologica (‘un talento per il basket’), alla qualità che deve essere sviluppata (‘sviluppare il talento di un giocatore’) ed agli atleti stessi (‘talenti’).
Una delle definizioni più comuni delinea il talento sportivo come:
"la presenza di abilità particolari o di qualità identificate precocemente, correlate o predittive di una performance futura di élite’ (Cobley, 2012; Issurin, 2017).
Comunemente, sono identificati come ‘talenti’ coloro che dimostrano capacità tecniche eccellenti ed uniche se comparate con quelle acquisite mediamente alla loro età.
Eppure il ‘talento’ è un concetto complesso, difficile da definire e che si presta all’eterno dibattito sul contributo per l’eccellenza sportiva di natura e genetica da una parte, dei processi di crescita e di sviluppo dall’altra; ci si chiede, in poche parole, se il talento sia un dono naturale e quindi scritto nel DNA dell’atleta oppure se rappresenti una condizione determinata da sacrificio, applicazione e condizioni ambientali favorevoli.
Nella letteratura scientifica ci sono evidenze che sottolineano l’importanza di entrambi i fattori.
Questo permette di concludere la parziale verità delle descrizioni più comuni, che tuttavia nascondono una problematicità nell’identificazione del talento.
Il timing di osservazione legato al grado di maturazione del soggetto, la difficoltà ad estrapolare dalla performance di élite una serie di indicatori chiave da ricercare nei giovani, in modo che siano effettivamente predittivi di successo e la natura dinamica e multidimensionale del talento, che ne rende difficile la comparazione rispetto ad una media, rappresentano le principali criticità in questo processo.
Nel corso degli anni, sono stati strutturati ed impiegati dalle federazioni di tutto il mondo numerosi progetti con l’obiettivo di dar vita a strutture che, tramite l’applicazione di metodi sistematici, siano in grado di scoprire precocemente i giovani eccezionalmente dotati; è questo il cosiddetto ‘talent identification’ (il processo di identificazione di individui coinvolti nello sport in questione che abbiano le potenzialità per eccellere); in questo modo, assicurandosi che essi ricevano un allenamento specializzato dai migliori coach e preparatori, ci si impegna per accelerarne, monitorarne e massimizzarne lo sviluppo del talento (‘talent development’).
Gli interessi in gioco non si limitano alla natura tecnica ma anche l’aspetto economico risulta determinante, con i club e le federazioni che devono scegliere con cura su quali profili concentrare i propri sforzi, un numero ristretto di atleti su cui investire con progetti a lungo termine.
Il processo di scoperta del talento parte dal modello prestativo dello sport in questione, individuando quei fattori che risultano determinanti per il raggiungimento del più alto livello.
Ci sono differenze tra sport individuali e sport di squadra, tra attività lineari e più complesse.
La ricerca viene condotta analizzando i fattori fisici, fisiologici, tecnici, socio-affettivi, relazionali e psicologici che concorrono alla performance vincente.
Questi tratti vengono quindi ricercati nei giovani, che vengono osservati ripetutamente in contesti competitivi per poi prendere una decisione sull’eventuale arruolamento.
Oltre che le attitudini tecniche e tattiche sul campo da gioco, vengono anche valutati i comportamenti fuori dal campo, la relazione con l’allenatore, con i compagni, con gli avversari, con gli arbitri, nonché la reazione al risultato positivo o negativo e gli atteggiamenti in generale.
Chiaramente, questi processi coinvolgono molte figure all’interno di un’organizzazione sportiva, non solo allenatori e preparatori, ma anche scout, analisti e psicologi che, oltre al board dei dirigenti, svolgono un ruolo cruciale nella ricerca dell’eccellenza.
È indubbio però, che spesso gli allenatori rivestano un ruolo critico in questo processo, con il compito di verificare sul campo le impressioni degli scout e quindi prendere una decisone finale su ogni profilo segnalato.
La review di Roberts et al. (2019) sulla conoscenza degli allenatori in questo ambito ha evidenziato quattro temi di interesse principale su cui essi basano la loro scelta dei talenti.
Il primo è il cosiddetto Occhio dell’allenatore: un istinto derivato dall’esperienza, che permette all’allenatore di “vedere” il talento; segue una valutazione dell’ambizione e dell’aspirazione del piccolo giocatore, misurata con una serie di tratti psicologici (che includono, tra gli altri, resistenza mentale, attitudine positiva, maturità, competitività, personalità ed intelligenza emozionale) che, per forza di cose, sono difficilmente verificabili a breve termine.
Infine, le capacità fisiche e tecniche e l’intelligenza nel gioco, intesa come capacità di leggere il gioco e risolvere le situazioni che vi si creano.
Purtroppo, come recentemente evidenziato da Till e Baker (2020), la ricerca scientifica sottolinea come gli attuali processi di identificazione e selezione del talento dimostrino una scarsa validità, che decresce ulteriormente quando applicati nelle fasce di età più basse.
Sono molteplici i fattori alla base di questo insuccesso. In primo luogo, partendo dagli scout e dagli allenatori, risulta difficile identificare una modalità univoca di riconoscere il talento.
La valutazione è infatti molto soggettiva, basata su una lista di criteri ed indicatori di performance, che sono, di fatto, filtrati dall’occhio dell’osservatore, che ne associa un “peso” diverso a seconda della propria esperienza e conoscenza.
In più, le verifiche più approfondite sul carattere e la mentalità del giocatore, nonché sulla sua capacità di mostrare una tecnica eccellente e prendere decisioni appropriate in contesti di pressione emotiva maggiore, necessitano di un tempo più lungo di osservazione.
Proseguendo, nuove problematiche sorgono quando si cerca di prevedere il successo in competizioni future (in età adulta) valutando la performance attuale; infatti, molte delle qualità che distinguono il successo sportivo in età adulta possono non essere ancora apprezzabili fino al termine dell’adolescenza, rischiando di confondere la selezione precoce dei talentuosi.
Questo punto apre il tema del grado di maturazione proprio di ogni atleta.
Come è noto, l’età biologica (grado di sviluppo fisiologico) e l’età cronologica (età anagrafica) raramente viaggiano di pari passo, rendendo molto difficoltoso il paragone tra un individuo e i pari età.
Ecco perché il confronto tra le caratteristiche e le prestazioni di un giocatore e quelle medie mostrate in una certa fascia d’età, appare un approccio limitato.
Le recenti scoperte sull’età relativa 'relative age’, evidenziano le criticità nel suddividere i bambini/ragazzi in categorie relative alla propria età cronologica: è infatti stato riscontrato un pregiudizio che favorisce coloro che sono nati all’inizio dell’anno di reclutamento (in Italia, indicativamente, i nati a gennaio, febbraio e marzo) per le più avanzate caratteristiche fisiche.
Infine, il background di ogni atleta, la cultura, le possibilità della famiglia, l’ambiente e le relazioni per lui più strette, impattano fortemente la prestazione giovanile; con questo approccio il rischio concreto è quello di escludere precocemente potenziali talenti a favore di altri meno dotati, ma più performanti nell’immediato.
La natura dinamica del talento e del suo sviluppo, insieme alla complessità di prevedere i tratti riconducibili ad una prestazione futura di élite, hanno portato i ricercatori a suggerire uno spostamento dell’attenzione dall’identificazione del talento alla sua crescita.
Si tratta di un approccio diverso, a lungo termine, che si prefigge di supportare, assistere ed accompagnare il processo di maturazione dei giovani atleti.
Alla ricerca spasmodica e continua di nuovi talenti da reclutare ed inserire nel contesto competitivo, si preferisce maggior cura e attenzione per coloro che sono stati scelti precedentemente.
In questo contesto, è possibile valutare nel tempo (dandosi almeno tre anni) una svariata gamma di abilità e capacità che, allenate e migliorate con costanza, disciplina e allenamento, possono portare all’eccellenza.
Si è così in grado di fornire un supporto maggiormente individualizzato, che vada ad impattare positivamente su tutte le aree della persona; non solo l’attenzione alle prestazioni in campo, ma anche un programma di cura dell’ambiente circostante, nell’ottica di creare le migliori condizioni possibili per la tutela e la crescita dei giovani.
L’obiettivo comune diviene quindi quello di trasformare un dono di natura in un talento vero e proprio, inteso come ‘l’eccellente sviluppo di abilità in uno sport specifico, a seguito di un processo di maturazione, apprendimento, allenamento e pratica’ (Vaeyens et al., 2008).
Poiché sono numerosi i fattori che concorrono al raggiungimento di una prestazione di massimo livello in età adulta, nessun aspetto può essere trascurato; è inoltre a carico del team di esperti che segue il processo di sviluppo, il tentativo di ridurre il fattore ‘caso’ che può influenzare negativamente la maturazione dei giovani selezionati (ad esempio con specifici allenamenti preventivi che riducano il rischio di infortuni).
In generale, in tutti i contesti, è necessario effettuare questo cambio di paradigma quando ci si affaccia ai processi di identificazione e sviluppo del talento e di crescita dei giovani.
Una visione più a lungo termine va a sostituire un approccio legato al mero conseguimento di risultati immediati; la variabilità diviene fondamentale nella pratica (soprattutto nelle fasce di età più basse), proponendo esperienze motorie molteplici e differenti tra loro per garantire all’allievo la capacità di adattarsi a nuove situazioni e contesti.
Si ricerca così la libertà di esprimersi, di esplorare, di sbagliare, di manifestare la propria creatività, in un ambiente che permetta.
In questo modo, la scoperta di talenti nascosti e visibili solo per occhi attenti.
L’atleta è al centro di questo processo, dove la comunicazione e l’empatia ricoprono un ruolo fondamentale.
La misurazione del talento diventa ora una valutazione della crescita e della capacità di apprendimento di ogni singolo giovane.